Riricchia (Commediola paesana) PERSONAGGI. DON MICIO, giovane di farmacista. DON CESARIO lo Storto, strozzino. TESTACCIA, suo garzone. MASTRO COSIMO, zio di RIRICCHIA. LA GNA' PAOLA, madre di RIRICCHIA e di CELESTINA. UN OPERAIO UNA POPOLANA che non parlano. in un paesetto siciliano. Epoca attuale. La scena è in un cortile. A sinistra, porta interna della farmacia. A destra, l'ufficio di DON CESARIO LO STORTO. In fondo, porta e finestra dell'abitazione di MASTRO COSIMO. All'alzarsi del sipario, la GNÀ PAOLA spazza rabbiosamente davanti a la porta della casa dove ella abita col fratello MASTRO COSIMO e la figlia RIRICCHIA. MASTRO COSIMO mette in ordine le canne da pesca, un paniere di vimini e la scatola di latta coi lombrici. SCENA I. LA GNÀ PAOLA, MASTRO COSIMO, poi DON MICIO. LA GNÀ PAOLA (gridando verso una finestra in alto). L'avete scambiato per un mondezzaio questo cortile? Vi abitano cristiani meglio di voi, sudici che non siete altro!... Parlo con tutti!... (a Mastro Cosimo). E voi, voi statevene zitto come se questa non fosse casa vostra! MASTRO COSIMO. Ho da quistionare ogni giorno? LA GNÀ PAOLA. Io intanto devo rompermi le braccia a spazzare! E siamo sempre in mezzo al sudiciume! DON MICIO (entra col camicione di tela grezza, portando una bracciata di radiche secche che butta per terra, a piè del mortaio di marmo accanto a la porta della farmacia). Buon giorno, Mastro Cosimo! Buon giorno, Gnà Paola! LA GNÀ PAOLA. Buon giorno, don Micio. MASTRO COSIMO. Buon giorno. Anche il vostro principale dovrebbe reclamare contro quest'abuso di buttare quaggiù fogliame di verdure, bucce di aranci, di limoni, di cocomeri. DON MICIO. Che volete farci? Quelle benedette serve, per risparmiarsi fatiche.... LA GNÀ PAOLA. Dunque non c'è più legge? Ognuno può fare quel che vuole! DON MICIO. La legge, Già Paola, l'avete mai vista passare da queste parti? (scegliendo le radiche, e buttando via le inservibili). Siamo in tempi di anarchia, come dice il mio principale. La legge! Tra poco vedrete comparire quel bel cesto dello Storto. Apre la sua tana e attende la povera gente che viene a farsi scorticare da lui. Cento per cento, e anche più! La legge accorda il sette, al massimo. A quest'ora don Cesario lo Storto dovrebbe essere in galera da un pezzo. Invece è rispettato, salutato da ogni ceto di persone. 223 LA GNÀ PAOLA. Certe volte, il bisogno... DON MICIO. Sissignora! Ho dovuto cascarvi anch'io. Ma questo che significa? Che la legge è fatta per gli sciocchi. MASTRO COSIMO. La legge l'ha fatta Dio! E dovremmo rispettarla tutti. DON MICIO. Ma che Dio! La fanno i deputati, i ministri, perciò ognuno la stira e l'allunga a modo suo. È inutile ragionarne. Parliamo di cose allegre. (a Mastro Cosimo). Ora andate a divertirvi con la pesca.... LA GNÀ PAOLA. Va a perdere mezza giornata di tempo. DON MICIO. Ha da vedersela il mio principale con la sua coscienza! (additando a Mastro Cosimo la scatola di latta). Lì che c'è? MASTRO COSIMO. I lombrichi per l'esca dell'amo. I pesci abboccano... DON MICIO. Come gli uomini con le donne... LA GNÀ PAOLA. La lingua batte dove il dente duole! Badate all'esca, don Micio! MASTRO COSIMO (raccogliendo gli arnesi). Vo' via. DON MICIO. Buona pesca! Io però non ho Potuto ancora gustare due triglie di quelle vostre. LA GNÀ PAOLA. Triglie? Bogacce da dieci soldi il chilo! MASTRO COSIMO. Non è per l'interesse, ma per la soddisfazione... LA GNÀ PAOLA (interrompendolo). Già, di cuocersi la tigna al sole e di aggranchirsi le gambe su uno scoglio! MASTRO COSIMO. Le donne non capiscono niente! (si avvia). DON MICIO. Buona pesca, Mastro Cosimo! (Mastro Cosimo esce. Pausa. A la Gnà Paola): E la vostra signorina? LA GNÀ PAOLA. La ragazza volete dire. Signorina? Sciò!... Noi non siamo di quelli che vogliono comparire più di quel che sono. È a dormire in casa di sua sorella, per tenerle compagnia nell'assenza del marito che a quest'ora dev'essere tornato. Ha dovuto andare ad Acireale per una testimonianza. DON MICIO. Il marito della gnà Celestina ha fatto buona riuscita. Lavoratore, economo; non s'impiccia di niente. LA GNÀ PAOLA. Se non avesse il vizietto del gioco!... DON MICIO. L'uomo non è perfetto! Ora bisogna pensare per la gnà Riricchia. LA GNÀ PAOLA. C'è tempo. E poi... ha da pensarci lei. DON MICIO. A quest'ora, forse.... 224 LA GNÀ PAOLA. Macché! È ancora una ragazzaccia, una sempliciona. Ride, canta; sembra che abbia l'argento vivo addosso; e bada a crescere. Chi la vede per la prima volta non le dà più di dodici, tredici anni... E tra otto giorni entra nei sedici! La mal erba vien su presto. DON MICIO. Bella ragazza, Gnà Paola! Bella ragazza! Presto ve la ruberanno! LA GNÀ PAOLA. Gliel'ho detto. Se scappa come la sorella, deve far conto che io e suo zio non siamo più al mondo! Ora è di moda. Si può dire che non c'è più una ragazza che si sposi come comanda Gesù Cristo, se pure ci arriva! Gli uominacci sono ammaliziati, e dopo di essersi cavato il capriccio, dicono: Parlate con me? È stata lei, di sua spontanea volontà! E pretendono questo, pretendono quello, vi mettono la corda alla gola... che debbono fare una povera madre, un povero padre? Dissanguarsi, per riparare lo strazio dell'onore; altrimenti la figlia gli rimane su le braccia e non sempre sola, se non hanno il coraggio di buttare una creatura innocente ai trovatelli. DON MICIO. Ci sono parenti che vorrebbero levarsi di casa le figliole senz'altro che la camicia che portano addosso. LA GNÀ PAOLA. È vero: c'è di questa gentaglia. Ma noi, per grazia di Dio... quel che è giusti, secondo le nostre forze. Suo zio, mio fratello Mastro Cosimo, è stato per Riricchia, ed è, più di un padre... Avete terminato? DON MICIO. Ho appena cominciato. E tutto ha da passare per le mie mani! LA GNÀ PAOLA. Mi dovete permettere! Ho tante faccende da sbrigare in casa. DON MICIO. Servitevi, Gnà Paola. (La Gnà Paola esce). SCENA II. RIRICCHIA, CELESTINA, POI LA GNÀ PAOLA, E DETTO. RIRICCHIA (togliendosi lo scialle). E rientriamo in carcere! (a Celestina). Tu sei nel Paradiso: davanti, il mare; dietro, la campagna! Io mi sento soffocare in questo cortile! DON MICIO. Avete ragione, Gnà Riricchia! CELESTINA. Salute, don Micio! Sempre in faccende! RIRICCHIA (a don Micio). E a voi chi vi costringe a star qui? DON MICIO. Non è per divertimento, cara Gnà Riricchia. RIRICCHIA. O cara o per niente... DON MICIO. Vi siete offesa? RIRICCHIA. Ne avete composte altre canzoni? Lo sai che don Micio è poeta? Gli manca di esser cieco e di andare, col violino, a cantar canzoni e storie di porta in porta. Ha fatto una poesia anche per me. Che vuol dire essere sfaccendati! Siete come la luna, volta e gira... Non comincia così?... E appresso... come dice? DON MICIO. Sempre allegra! RIRICCHIA (chiamando). Mamma!... Siamo qua; c'è Celestina. LA GNÀ PAOLA (di dentro). Vengo! Vengo! RIRICCHIA. Come va che lo Storto non è al suo posto? È venuto a nascondersi qui per imbrogliar meglio la povera gente. LA GNÀ PAOLA (entrando). Che te n'importa? Se la veda lui: ognuno è padrone di dannarsi l'anima. RIRICCHIA. Per me può dannarsene anche due! DON MICIO. Brava la Gnà Riricchia! Meritereste un bel bacio. LA GNÀ PAOLA (udendo severa). Oh, don Micio! Non son parole da dirsi! RIRICCHIA. Non abbiate paura, mamma! Prima che me lo dia.... (facendo il gesto di uno schiaffo). DON MICIO. Scusate! Intendevo che meritavate un prosit per quel che avete detto. CELESTINA. Mia sorella, certe volte... RIRICCHIA. Perchè? Perché ho detto: Per me può dannarsene anche due? LA GNÀ PAOLA. Belle espressioni in bocca di una ragazza! Voi ridete, don Micio; ma chi non la conosce e la sente, che può pensare? DON MICIO. L'onestà si legge in fronte... Mi chiamano. Permettete (esce). RIRICCHIA. Vo' a mettermi in libertà! (esce, canticchiando allegra) Siete come la luna, volta e gira... LA GNÀ PAOLA. Che ti ha detto di Testaccia? CELESTINA. Niente. Dice non è vero, e che quel giovine si fa i fatti suoi. LA GNÀ PAOLA. Crede forse che mi dispiacerebbe? Purchè andasse via dallo Storto. CELESTINA. Lui che c'entra? Lo Storto gli dice: scrivi, e quello scrive, per guadagnarsi il pane, provvisoriamente. Se poi entra nelle Guardie di finanza... LA GNÀ PAOLA. Con tua sorella non c'è da fidarsi. Canta, ride... ma poi fa sempre a modo suo! CELESTINA. Ride, canta, pare col cervello in aria, e non è vero. Lo zio Cosimo? LA GNÀ PAOLA. Non lo sai? A la pesca. È il suo divertimento, poveretto. 225 CELESTINA. Gli bacio le mani. LA GNÀ PAOLA. Vai via? CELESTINA. Ho lasciato mio marito col bambino nella culla. LA GNÀ PAOLA. Ti accompagno fino alla bottega del fornaio qui vicino. SCENA III. DON CESARIO LO STORTO, TESTACCIA E DETTI. DON CESARIO (a Celestina). Scappate? È un bel pezzo che non ci vediamo. CELESTINA. Vi pare che siamo sfaccendati come voi? DON CESARIO. Se aveste metà dei miei impicci, vi parrebbe d'impazzire! CELESTINA. Ve li cercate a posta. DON CESARIO. Proprio! Avete ragione! (a Testaccia dandogli una chiave). Apri. (Testaccia eseguisce). LA GNÀ PAOLA. Vorrei averla io, per un'oretta, quella chiave! CESARIO. E perdereste tempo e fatica! (a Celestina). Salutatemi vostro marito. CELESTINA. Saluto schietto o con qualche sottinteso?... È venuto a farsi prestare soldi? Dovete dirgli sempre di no, di no. Gli servono pel viziaccio del gioco. DON CESARIO. Se dicessi di no alle persone come vostro marito, agli altri che dovrei rispondere? Se veniste voi, per esempio? Darei anche il mio sangue. CELESTINA. Spero in Dio e nella Madonna, di non dover mai incomodarvi. DON CESARIO. Anni fa, quando ero giovane, dicevo anch'io così. E poi dovetti sbattere il muso... LA GNÀ PAOLA. (ridendo) Da voi stesso?... Questa è grossa! (a Celestina). Avevi fretta per tuo marito.... CELESTINA. Eccomi. (La gnà Paola e Celestina escono) SCENA IV. DON CESARIO, TESTACCIA, POI RIRICCHIA E DON MICIO. DON CESARIO. Vo un momentino nel salone di faccia. Se vien qualcuno, fallo attendere. Che ti ha risposto donna Costanza? TESTACCIA. Dice che verrà oggi, dopo pranzo, o domattina. DON CESARIO. Le parlasti chiaro? TESTACCIA. Chiarissimo. (Don Cesario esce). (Entra Riricchia, portando due seggiole che mette a lato della porta. Sul braccio ha il lavoro di cucito, che ripone sul piano della seggiola davanti a cui si siede. Comincia a lavorare, facendo le viste di non essersi accorta di Testaccia rimasto con le spalle appoggiate allo spigolo della porta dello Storto. Pausa). TESTACCIA. Beati gli occhi che... RIRICCHIA. Ah! siete li? TESTACCIA. Anche col siete! Ho avanzato grado. RIRICCHIA. Che hai con codesto muso? C'è qualche novità? TESTACCIA. Lo domando a te. RIRICCHIA. Io lavoro, per mutare. TESTACCIA. Deve durare ancora... questa storia di don Micio? RIRICCHIA. Quale don Micio? Il giovane dello speziale? Sei pazzo! Non mi guarda neppure, poveretto! 226 TESTACCIA. Ti fa le poesie. Me l'hai detto tu stessa. RIRICCHIA. Per ridere. Gliene ho fatta una anch'io che non sono poeta, quando sdrucciolò qui: Don Micio, Micillo, Salta come un grillo. Don Micio, Miciuzzo Casca a terra e si rompe il muso! (ride). TESTACCIA. Si comincia per ridere e si finisce per davvero! Perchè lui è giovane di speziale e io scrivanello?... Ma io, in quanto a voler bene con sincerità, mi sento cento volte meglio di lui! RIRICCHIA. E dunque lascialo andare! TESTACCIA. Parlo perchè veggo che vuol cozzare con me. RIRICCHIA. Ho un altro pretendente, e tu non lo sai! TESTACCIA. E me lo dici così indifferente? Chi è? Chi è? RIRICCHIA. E ha bei dindi! Mi vuol regalare una collana d'ambra, un paio di orecchini con pietre diamanti, anelli!... TESTACCIA. Me lo dici per farmi arrabbiare. Ed io, per starti vicino, per vederti e parlarti ogni giorno, faccio il servo a questo gran ladro dello Storto!... non ne posso più! Senti, Riricchia: se questa storia deve durare più a lungo sarà meglio.... RIRICCHIA. Sentiamo! Sentiamo! TESTACCIA (entra un operaio). (All'operaio che lo interroga con un cenno del capo). Non c'è; tornate più tardi. (L'operaio esce). Chi si oppone? Tua madre? Tuo zio? Tua sorella? Essa però pensò bene di scappare. E due mesi dopo era maritata. RIRICCHIA. Che vuoi conchiudere? TESTACCIA (con rabbiosa ironia). Se te lo proponesse quello della collana d'ambra e degli orecchini... RIRICCHIA. Almeno avrei una scusa. TESTACCIA. Ah, sì? Ah, sì? (Entra una popolana). Non c'è: tornate più tardi. Dov'è? Che ne so? Tornate più tardi... (La popolana va via). Ah, sì? Sangue di...! RIRICCHIA. Puoi fare a meno d'insaguinarti con me! Perchè ti ho permesso di dirmi qualche buona parola? Che ti ho risposto sempre? Vediamo: nel tempo c'è tempo... Se Dio vuole.... TESTACCIA. Intanto mi hai fatto perdere la pace. Dovevi dirmi di no, fin da principio. RIRICCHIA. C'è stato forse un contratto? E se anche?... Fino a che non han parlato il Sindaco e il Parroco... Vi sembra di essere padroni e domini a voialtri uomini: e per ciò la moglie del tuo principale gli ha ornato bene la testa; e il vilaccio l'ha sopportato prima in casa e ora fuori di casa. DON MICIO (che entrando ha sentito queste ultime parole). Che c'è? Vi fa stizzire, gnà Riricchia? TESTACCIA. Scusate. Chi vi ci mescola don.... come vi chiamate? DON MICIO. Mi chiamo don Micio Comti, giacchè non lo sapete. E quando si vede un uomo senza educazione, che insulta 227 una ragazza a cui non è degno di baciare la suola delle scarpe... SCENA V. DON CESARIO LO STORTO, LA GNÀ PAOLA CON DUE PANI A CIAMBELLA INFILATI AL BRACCIO, E DETTI. DON CESARIO. Che c'è? DON MICIO. Chi sa che cosa si è messo in testa questo vostro, così detto, scrivano! LA GNÀ PAOLA (a Riricchia). Tu entra in casa. RIRICCHIA. Sto qui pei fatti miei, davanti a la mia porta. Ci sono e ci resto. LA GNÀ PAOLA. Riricchia, non farmi stizzire!... DON MICIO. Dice bene vostra figlia. DON CESARIO. Ho capito! Questa bestia.... DON MICIO. Fa il geloso, pare. DON CESARIO. Di chi?... Pensa prima a sfamarti tu! È vero che la moglie può aiutare. Bisogna vedere però che sorta di moglie uno prende. TESTACCIA (frenandosi a stento). Voi siete pratico. DON CESARIO. Che intendi di dire, mortaccio di fame? TESTACCIA (c.s.). Dico che siete pratico di queste cose. DON CESARIO. Ti farei vedere se sono pratico o no...! LA GNÀ PAOLA. Con chi vi mettete? E tu non ti scordare che mangi il suo pane. TESTACCIA. Si provveda d'oggi in poi; non voglio più fare il servo a uno scortica-cristiani. DON MICIO (interponendosi). Via! Cose da niente. TESTACCIA. Torno a dirvelo: Chi vi ci mescola? DON CESARIO. È un padrone tuo. TESTACCIA. Di padroni ne riconosco uno Solo: Dio in cielo!... Malannaggio!... Malannaggio! DON CESARIO. Senza tanti malannaggio! Pigliati il cappello, e via. Devo darti altre cinque lire della mesata... eccole! E pari e patti! Via! TESTACCIA. Siete contenta ora, gnà Riricchia? Vi sembra che io non abbia capito chi è quello della collana d'ambra, degli orecchini coi diamanti?... LA GNÀ PAOLA. Che c'entra mia figlia? (A Riricchia) Hai sentito che ha detto? DON MICIO (a la gnà Paola). Non gli rispondete, pel vostro decoro. (Durante il seguente dialogo, Don Micio parla a bassa voce con Riricchia che sorride e gli risponde scotendo il capo). TESTACCIA. Chi vuol tenere un piede qua e un altro là.... Gnà Riricchia... LA GNÀ PAOLA. Che discorso è questo?... Troppa confidenza... DON CESARIO. È ubriaco di buon'ora. TESTACCIA. Ho la mente più chiara di voi... Sangue di!... 228 LA GNÀ PAOLA. Mia figlia non devi nominarla nè punto nè poco! RIRICCHIA. Mamma! LA GNÀ PAOLA. Non ne ho paura, sai? DON CESARIO. Deve durare ancora questa commedia? TESTACCIA. Me ne vado! Me ne vado! (a Riricchia). Chi sa che un giorno non dobbiate dire, piangendo - scrivetele sulla fronte queste parole - : Ho cangiato il buono pel cattivo. RIRICCHIA. Il cattivo sareste voi!... Se lo è messo in testa lui, e vuole aver ragione! DON CESARIO. Non gli date l'onore di rispondergli! TESTACCIA. Datelo a sua eccellenza! Malannaggio! Devo fare qualche sproposito? (esce). DON CESARIO. Fate del bene a certa gente! Ve lo rendono a calci, caro don Micio. DON MICIO. E per ciò voi non fate bene a nessuno, per non sbagliare... Vengo! Vengo! Mi pareva assai che mi lasciassero in pace un momento! (esce). LA GNÀ PAOLA (a Riricchia). Vieni su: che fai qui? RIRICCHIA. Non posso più cucire davanti a la porta? DON CESARIO. Lasciatele prendere un po' d'aria, povera ragazza! (La gnà Paola entra, brontolando). SCENA VI. DON CESARIO, RIRICCHIA, POI MASTRO COSIMO. DON CESARIO. Ecco come siete voi donne? Date retta a uno che non potrebbe farvi neppure una camicia nuova! RIRICCHIA. Daccapo? Ve lo scordate che siete ammogliato? DON CESARIO. Quasi che per volersi bene un uomo e una donna debbono essere per forza maritati! RIRICCHIA. Al mio paese usa così. DON CESARIO. Può accadere, dopo. Non sono eterne le male persone. RIRICCHIA. Vostra moglie è più giovane di voi, e scoppia di salute, beata lei! DON CESARIO. Ha mandato, sotto mano; vuol essere perdonata. Certe offese non si perdonano mai e poi mai!... Vorrei risponderle: Ecco; ho assai meglio di te? RIRICCHIA. Che devo fare? Dovrò dirlo a mia madre? DON CESARIO. Chi lo sa? Vostra madre potrebbe darvi, forse, un buon consiglio. RIRICCHIA. Per chi la prendete? La scambiate con la madre di vostra moglie che, dicono, le fa da copertina e da serva? DON CESARIO. Come vi alterate subito! RIRICCHIA. Lasciatemi cucire! (a Mastro Cosimo che entra in quel punto con le canne da pesca in ispalla, e il paniere infilato al braccio). Che vi è accaduto, zio? MASTRO COSIMO (ridendo). Oggi i pesci sono ammattiti, figliuola mia. Si lasciano prendere, per modo di dire, con le mani. DON CESARIO (osservando il paniere). O che è stato? La pesca miracolosa di S. Pietro? RIRICCHIA. È appena un quarto d'ora che siete andato via! Gatta ci cova! MASTRO COSIMO. Con le ragazze di oggi, non si può dire una bugia neppure per scherzo! DON CESARIO. Avete fatto, forse, come certi Cacciatori amici miei? Arrivano in una bettola fuori mano, in campagna, si fanno infangare gli stivali, comprano la cacciagione dai veri cacciatori, e tornano a casa così con la carniera ripiena, senza aver sparato neppure un colpo. MASTRO COSIMO. Oh, no, non sono di questi! Ma oggi, con la maretta che c'è... Incontrai raisi Mommu, con la pesca di questa notte; era sbarcato allora allora, e mi ha riempito il paniere senza badare al peso. Raisi Mommu è mio vecchio amico. DON CESARIO. Vediamo di fare un affaruccio pure noi. MASTRO COSIMO. A proposito. Mi ha fermato Testaccia. E' impazzito il vostro scrivano! Sangue di qua!... Sangue di là! Si mordeva le mani. Io non volevo dargli retta. Ma quando mi disse: - Badate a vostra nipote! C'è chi vuol regalarle una collana d'ambra, un paio d'orecchini con pietre diamanti - posai in terra il paniere, e gli scaricai un paio di schiaffi da ricordarsene finchè campa. DON CESARIO. L'ho licenziato. MASTRO COSIMO. Con me non si scherza, lo sapete bene, con Cesario. Se siete voi quello della collana... DON CESARIO (un po' imbarazzato). Io, farvi quest'offesa? Me l'avevano portata in pegno: una bella collana d'ambra antica - ora non se ne trova più così chiara e bionda - e la mostrai a la gnà Riricchia che era seduta davanti a la porta, come poco fa, e cuciva. - Si vende? - mi domandò. - Per voi non si vende, si regala - le risposi, scherzando. - Era forse mia? Pegno. E quel bestione... 229 MASTRO COSIMO. Alle ragazze onorate certe cose non si devono dire neppure per chiasso. Che se poi qualcuno crede di poter prendersi la libertà... perchè non abbiamo il don e non traffichiamo in quattrini... DON CESARIO. Andiamo, andiamo... Non ci s'intende più. Sarà meglio far quattro passi. MASTRO COSIMO. E sarebbe assai meglio se cambiaste di posto. DON CESARIO. Anche questo? Andiamo! (chiude a chiave l'uscio del suo ufficio, accende una sigaretta, ed esce senza salutare). SCENA VII. MASTRO COSIMO, RIRICCHIA E LA GNÀ PAOLA LA GNÀ PAOLA. E che ne faremo di tutto quel pesce? RIRICCHIA (rimettendosi a cucire). Dovrei prendere il paniere, infilarmelo a un braccio e andar per le vie, gridando: Vivo vivo il pesce! Vivo vivo! MASTRO COSIMO. Matta! Ne ho promesso un po' a don Micio. I giovani degli speziali è meglio tenerseli amici (a Riricchia). Dimmi: è vero che lo Storto ti ha mostrato una collana d'ambra?... RIRICCHIA (impermalita). A me? Chi l'ha visto? Sentiamo: c'è qualche novità? MASTRO COSIMO. L'obbligo tuo sarebbe stato di dir subito a tua madre o a me: quel... ladro di don Cesario... LA GNÀ PAOLA (interrompendolo). Ha fatto bene, se è vero. È stata prudente. MASTRO COSIMO. Cotesto signore vuol farmi ricordare degli estri antichi, quando non mi lasciavo posare una mosca sul naso. E Testaccia perchè s'insanguinava tutto? Se tu (a Riricchia) non gli avessi dato un po' retta... RIRICCHIA (stizzita, quasi col pianto nella gola). Ecco: ora la colpa è mia! al solito! Devo scontare di essere stata tranquilla due giorni da mia sorella! LA GNÀ PAOLA (a Mastro Cosimo). Che gusto, di farla piangere! MASTRO COSIMO. Chi vuoi bene fàllo piangere! S'intende per insegnamento. LA GNÀ PAOLA (a Mastro Cosimo). Vieni su: scegliamo il pesce per don Micio. MASTRO COSIMO (borbottando). Son sempre le Madri che viziano le figliole! (Esce, seguendo la gnà Paola). SCENA VIII. DON MICIO E RIRICCHIA. DON MICIO (entra lavorando un preparato bianco in un piccolo mortaio di cristallo. Vedendo sola Riricchia, le si avvicina e le dice sottovoce:) Ci avete pensato bene? Che avete? RIRICCHIA. Niente! Niente! DON MICIO. Quasi non avessi occhi per vedere! Che avete? RIRICCHIA. E se ve lo dico, che mi giova? Lasciatemi stare! DON MICIO. Un amico come me... può giovare qualche volta. RIRICCHIA (fa segni di no col capo). 230 DON MICIO. Non so chi m'ha trattenuto dal Prendere a calci quell'imbecille che pareva si vantasse... RIRICCHIA (abbassa la testa e non risponde). DON MICIO. Che potevano immaginare don Cesario e vostra madre? Sono cose delicate. Lo capite ora fino a che punto vi voglio bene? RIRICCHIA (risponde di sì con la testa). DON MICIO. Rispondete. Dunque non ve n'eravate mai accorta? Mai? RIRICCHIA. Sì, don Micio. Ma dicevo: È impossibile che quel cristiano... DON MICIO. Vedevo la vostra indifferenza... e mi cascavano le braccia. E poi c'era lui, Testaccia... RIRICCHIA. Non lo nominate! Scellerato!... Se mi volete bene davvero... DON MICIO. Parlate! Comandate! RIRICCHIA. Se mi volete bene davvero... Don Micio... dovreste darmi... due pastiglie di sublimato! DON MICIO. E me lo dite con cotesto viso? RIRICCHIA. Sarebbe la vera prova che mi volete bene! DON MICIO. Darvi il veleno con le mie mani! Com se domandasse dei confetti! Tutt'a un tratto!... Non è uno scehrzo? RIRICCHIA. Mentre sono sola, fatelo per carità! Altrimenti m'impicco... mi butto in un pozzo! DON MICIO. Ma perchè... RIRICCHIA. Perchè... nessuno può più volermi bene! DON MICIO. E io? E io? RIRICCHIA. Se sapeste!... Non mi guardereste in faccia neppur voi! DON MICIO. Che mi fate sospettare?... Riricchia!... E chi è stato? Testaccia? E come mai? RIRICCHIA. Non lo so nemmeno io!... Fatelo per carità! Perchè mi levi di mezzo! DON MICIO. Sento scoppiarmi il cuore!... Ed io che pensavo di dire alla mia mamma: - Mamma, sto per trovarti una figlia che ti vorrà bene quanto me! RIRICCHIA. Vedete che, ormai, non è più possibile! DON MICIO. Sento scoppiarmi il cuore!... Ma come? Pensate alla morte... e siete così tranquilla? RIRICCHIA. Quando una è decisa! DON MICIO. E non lo sapete che ammazzarsi con le proprie mani è peccato mortale? RIRICCHIA. Il Signore perdona, egli che vede nei cuori! DON MICIO (si passa la mano tra capelli, come chi non sa che risoluzione prendere). Ma che! Ma che! In questo mondo c'è rimedio a tutto! Non vi perdete d'animo! E venite proprio da me pel veleno? RIRICCHIA. Voi solo potete compatirmi. DON MICIO. Testaccia!... Testaccia! RIRICCHIA. Non alzate la voce! Può udirvi mia madre. C'è in casa anche lo zio. DON MICIO. E io dovrei vedervi morire! RIRICCHIA. Meglio così, don Micio!... Meglio così! DON MICIO (smania, pesta i piedi. Poi, tutt'a un colpo, si decide). E, sentite, Riricchia. Se ci fosse uno che vi volesse tanto bene...? RIRICCHIA (rizzandosi dalla seggiola con scatto)... Tanto bene?... DON MICIO. Se ci fosse uno che vi dicesse... RIRICCHIA (con una gran risata) Ah! questo, questo volevo sapere! Essere voluta bene fino a questo punto!... E avete creduto, don Micio?... Avete creduto? DON MICIO. Oh, Dio!... Riricchia!... Non è vero niente? RIRICCHIA (ridendo). Niente!... Niente! DON MICIO. È stato per sprovarmi? RIRICCHIA. Per sprovarvi, don Micio! DON MICIO. E se io vi avessi detto?... RIRICCHIA. Era finita! Avrei pensato: Non c'è la volontà di Dio! DON MICIO. Sentite le mie mani! Toccatemi la fronte! Ho la febbre dallo spavento. E mi dicevate, fredda fredda: Datemi due pastiglie di sublimato! Quando si ama non si ragiona; è proprio vero! Un altro avrebbe capito sùbito... SCENA ULTIMA MASTRO COSIMO, LA GNÀ PAOLA, E DETTI. MASTRO COSIMO (don Micio). Per l'appunto! LA GNÀ PAOLA. Questo è per voi. (Gli presenta il piatto col pesce). DON MICIO (imbarazzato col piatto in mano). Grazie! Grazie! E vorrei prendermi un piatto migliore... se c'è il vostro consenso... se posso ricevere l'onore... RIRICCHIA (ridendo) Io... Io gli ho risposto di sì! (Leva il piatto di mano a don Micio e lo porge alla madre). LA GNÀ PAOLA (fuori di sè dalla contentezza, dà il piatto a Mastro Cosimo, e abbraccia Riricchia). Che fortuna, figlia mia! MASTRO COSIMO. Ma queste ragazze del giorno di oggi! Ah, signor don Micio! Si figuri! Si figuri! (Porge di nuovo sbadatamente il piatto a don Micio). DON MICIO. Il vero regalo vivo è questo qui... (Vorrebbe abbracciare Riricchia, il piatto gli traballa in mano e parte del pesce va per terra. Riricchia si scansa ridendo. Ridono tutti). LUIGI CAPUANA CALA LA TELA.